Errore nei bandi di concorso. La Regione corre ai ripari. La Giunta modifica e proroga i bandi eliminando la riserva per gli interni. Ma il Cobas/Codir resta sul piede di guerra

Eliminazione della previsione delle riserva per il personale interno all’amministrazione regionale e proroga del termine per la presentazione delle istanze (la scadenza era fissata al 31 gennaio) sono le modifiche apportate dal governo Musumeci ai bandi dei concorsi per 1.170 posti e pubblicati il 29 dicembre scorso nella Gazzetta ufficiale.

Scusate, abbiamo sbagliato. Ancora una volta.

Dopo il pasticcio sul concorso per l’Arpa, annullato dopo avere celebrato la prima prova e ora al centro di un contenzioso legale, la Regione riapre i termini anche per la selezione per 1.170 dipendenti dei Centri per l’impiego: l’assessore regionale alla Funzione pubblica Marco Zambuto ha infatti ottenuto dalla giunta un rinvio del termine per la presentazione delle istanze al 25 febbraio dopo che il sindacato Cobas-Codir aveva lanciato l’allarme sulle regole previste per la partecipazione del personale interno a Palazzo d’Orléans. La modifica in corsa delle regole giunge dopo l’arrivo di decine di migliaia di domande, almeno 20mila secondo le stime preliminari della Regione.

La segnalazione era sta effettuata dal Cobas-Codir: il concorso, infatti, riservava un canale per i dipendenti interni della Regione, facendo leva su una norma che però nel frattempo era stata abrogata. Così, questa settimana, la giunta ha corretto la rotta per evitare di finire di nuovo al centro di una pioggia di ricorsi: via la corsia preferenziale per i dipendenti interni.

Il Cobas/Codir resta sul piede di guerra

Ma il Cobas/Codir annuncia battaglia, anche perché sarebbero tanti i dipendenti della Regione che avrebbero già presentato la domanda per i concorsi pagando le spese previste per la partecipazione. Adesso, nel caso in cui il governo non avviasse in parallelo ai bandi anche le procedure per i dipendenti, che ambiscono agli avanzamenti di carriera, il sindacato dei regionali annuncia «azioni legali e la mobilitazione dei lavoratori contro quello che sarebbe uno scippo perpetrato nei confronti dei lavoratori».

Falsa attestazione della presenza in servizio: il patteggiamento in sede penale legittima il licenziamento

Il patteggiamento ha efficacia di giudicato e influisce sull’esito del processo del lavoro nei confronti del dipendente assenteista e conferma pertanto la legittimità del licenziamento disciplinare. Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 20560 del 19 luglio 2021.

Il caso di specie riguarda il licenziamento disciplinare irrogato ad un pubblico dipendente che, unitamente ad altri colleghi, attestava falsamente la propria presenza in ufficio grazie all’abusivo (e reciproco) utilizzo del badge. Riformando la sentenza del Tribunale di Lodi, la Corte d’Appello di Milano aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento disciplinare irrogato dal Ministero della Giustizia nei confronti del ricorrente, già cancelliere con mansioni di capo ufficio presso il Giudice di Pace di Lodi.

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di appello, in particolare ricordando che la Corte d’Appello, contrariamente a quanto sostenuto dal dipendente licenziato, aveva facoltà di trarre dalla sentenza penale di patteggiamento elementi di valutazione sulla sussistenza del fatto e sulla sua gravità.