Un premier che promette brioches (300 milioni, anzi 100, anzi 40, anzi forse niente) ai risparmiatori che in fondo lui stesso ha tradito, in un Consiglio dei ministri di dieci minuti, una domenica sera. Un premier che parla di civiltà europea all’Accademia dei Lincei ma viene subito zittito da un oscuro portavoce della Commissione Ue.
Un premier dal sottile populismo “narrato” assediato dal populismo vero, duro e fangoso: quello delle piazze inferocite, dei tribuni consumeristi alternati tutto il giorno sulle reti all-news alle vedove dei suicidi; quello delle prime pagine strillate dei giornali di provincia.
Un premier che, pressato nella sua area, calcia campanili altissimi, pericolosissimi: una riforma-palingenesi per le banche italiane; una commissione-Norimberga per i banchieri “che hanno sbagliato”.
Un premier che spedisce la sua ministra preferita a difendere l’onorabilità del padre, vicepresidente della banca più fallita di tutte, ma guardandosi bene dal rivelare quale danno patrimoniale abbia subito la famiglia e quali rischi giudiziari corra se la Procura dovesse muoversi.
Questa volta Matteo Renzi appare davvero in difficoltà: e non perché quattro banche italiane sono fallite.
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