Nel pubblico impiego bonus e mancette al posto del rinnovo dei contratti scaduti

Tratto da USB

Le cose non avvengono quasi mai per caso. Da qualche giorno è in atto una campagna tesa a dimostrare che i dipendenti pubblici percepiscono retribuzioni mediamente superiori a quelle del settore privato e che, quindi, non avrebbero troppo di che lamentarsi.

Tralasciando l’eterogeneità dei dati comparati, la guerra tra poveri insita in questo ragionamento e il divario esistente tra gli stipendi dei dirigenti e quelli del personale, alcuni dati sono incontrovertibili: i salari dei dipendenti pubblici italiani sono sensibilmente inferiori rispetto a quelli dei dipendenti pubblici francesi, tedeschi o spagnoli e l’ultimo rinnovo contrattuale ha coperto la metà dell’inflazione, già di per sé depurata dal costo dei beni energetici. Il resto sono opinioni, affermazioni spot e pura propaganda politica.

Ma la propaganda ha sempre una finalità ed ecco che nelle intenzioni del governo spunta la proroga al 2024 del bonus (poche decine di euro mensili in busta paga) percepito nel 2023, ovviamente in sostituzione dei fondi del contratto già scaduto nel 2021. La linea dell’esecutivo appare ogni giorno più chiara: saltare la tornata contrattuale e quindi nessuno stanziamento per i rinnovi contrattuali al fine di rispettare i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles, e qualche mancetta random di poche decine di euro, sotto forma di bonus o di taglio del cuneo fiscale.

D’altronde se per il governo i dipendenti pubblici guadagnano più della media dei dipendenti privati, il rinnovo del contratto cessa di essere un sacrosanto diritto e diventa un’inaccettabile pretesa.


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