Prima tappa dimostrativa dello SCIOPERO DELLE MANSIONI

Palermo, 21 giugno 2023

Da giorno giovedì 6 luglio 2023 a giorno giovedì 20 luglio 2023, i lavoratori regionali che hanno a cuore il proprio destino e le stesse sorti dell’organizzazione della Regione e della qualità delle prestazioni ai cittadini si atterranno scrupolosamente alle proprie mansioni previste dalle categorie di appartenenza.

I lavoratori avranno, così, la possibilità di dimostrare al governo regionale siciliano e a tutta l’opinione pubblica la legittimità delle denunce lanciate in questi ultimi anni dal sindacato e dai lavoratori.

Verrà a galla l’utilizzo “in nero”, in mansioni superiori, della quasi totalità del personale regionale (di tutte le categorie e profili), per potere sopperire alla riduzione degli organici e alla grave mancanza di figure professionali utili al funzionamento degli uffici e nei rapporti con l’utenza.

DOBBIAMO RISPONDERE CON DETERMINAZIONE ALLA TRACOTANZA DEL GOVERNO REGIONALE CHE DI FATTO SI RIFIUTA DI ATTUARE UN RADICALE PROCESSO DI RIQUALIFICAZIONE E RICLASSIFICAZIONE DI TUTTO IL PERSONALE DELLA REGIONE SICILIANA E DEGLI ENTI COLLEGATI.

Invitiamo, quindi, tutti i colleghi regionali a riunirsi per un’ora in assemblea presso i propri uffici, giovedì 1 luglio 2023, formalizzando la richiesta di assemblea attraverso i responsabili aziendali o provinciali del sindacato, per deliberare in ogni luogo di lavoro l’adesione allo “sciopero delle mansioni”, sottoscrivendo una dichiarazione di protesta da inviare ai seguenti indirizzi mail:

Al presidente della Regione Siciliana: [email protected]

All’assessore regionale alla Funzione Pubblica: [email protected]

All’O.I.V.: [email protected]

Al sindacato Cobas/Codir: [email protected]

Il COBAS-CODIR VIGILERÀ SUL RISPETTO DELLA VOLONTA’ DEI LAVORATORI CHE VORRANNO SVOLGERE ESCLUSIVAMENTE LE MANSIONI PER CUI SONO REALMENTE RETRIBUITI, INVITANDO I RESPONSABILI DEGLI UFFICI AD ASTENERSI DA ATTIVITA’ TESE A INIBIRE LA LEGITTIMITA’ DELLA PROTESTA.

E’ CHIARO CHE EVENTUALI AZIONI ILLEGGITTIME DA PARTE DI DIRIGENTI CHE INTENDESSERO ATTUARE CONTRO LA GIUSTA PROTESTA DEI LAVORATORI, CI VEDREBBERO COSTRETTI A DENUNCIARE GLI EVENTUALI ABUSI ALLE AUTORITA’ COMPETENTI.

Statali, per l’anticipo della liquidazione ora si pagano fino a 2mila euro di interessi: tassi al 4,3%

Tratto da PAmagazine.it

Non c’è pace per i dipendenti pubblici che devono incassare il Tfs-Tfr. È passato più di un mese dall’udienza della Consulta sul pagamento differito della liquidazione agli statali e ancora si attende di conoscere la decisione dei giudici, chiamati a stabilire se sia giusto o meno versare con anni di ritardo la meritata (e sudata) buonuscita ai lavoratori dello Stato. Nel frattempo, non si ferma la corsa del rendistato, l’indice sulla base del quale gli istituti di credito che hanno aderito alla convenzione Abi per erogare agli statali l’anticipo del Tfs-Tfr fino a 45mila euro calcolano gli interessi a carico dei richiedenti. Interessi schizzati letteralmente alle stelle nell’ultimo anno e mezzo: oggi per l’anticipo si versano anche duemila euro, mentre a gennaio del 2022 l’asticella non raggiungeva i 500 euro. Una stangata in piena regola.

La stangata

Ormai tutti i dipendenti pubblici in pensione e in attesa della liquidazione sanno cos’è il rendistato. Molto semplicemente, questo indice fotografa il rendimento medio ponderato di un paniere di titoli di Stato. Gli statali sanno anche che le banche che concedono l’anticipo agevolato del Tfs-Tfr fino a 45mila euro calcolano il tasso finale del finanziamento sommando il rendistato allo spread, che è sempre pari allo 0,40%. A giugno, stando all’ultimo bollettino di Bankitalia il rendistato generale è arrivato a sfiorare il 3,9%. Di conseguenza il tasso che un dipendente dello Stato deve sostenere oggi per l’anticipo della liquidazione è schizzato al 4,3%. Il gioco, insomma, non vale più la candela. All’inizio del 2022, per intenderci, il rendistato generale viaggiava poco sotto la soglia dell’un per cento. Nel 2021 l’asticella si posizionava ancora più in basso, allo 0,3% circa. La spesa per gli interessi è quadruplicata nel giro di 18 mesi.

A giugno il rendistato per i finanziamenti a breve scadenza (1 anno – 1 anno e sei mesi) ha superato il 3,4% (dal 3% di gennaio). Per quanto riguarda i prestiti a lunga scadenza (20 anni e 7 mesi e oltre) l’asticella si posiziona ora al 4,5% (dal 4,2% di gennaio). In altre parole, interessi e inflazione si stanno mangiando (divorando) le buonuscite dei dipendenti pubblici, che allo stato attuale sono costretti ad aspettare anche 5-7 anni prima di ricevere dall’Inps i soldi della liquidazione. Per quelli che non trovano più convenienti (e come dare loro torto) gli anticipi delle banche, c’è solo un’alternativa: rivolgersi all’istituto di previdenza. Da quest’anno infatti anche l’Inps concede l’anticipo del Tfs-Tfr, a un tasso agevolato dell’un per cento. Le risorse però sono limitate e i tempi di lavorazioni delle domande biblici. L’ente impiega sei mesi per esaminare (ed eventualmente approvare) le istanze. L’iniziativa ha preso il largo a febbraio: i primi anticipi dunque arriveranno presumibilmente ad agosto.

Conto alla rovescia

L’udienza pubblica della Corte Costituzionale sul tema del pagamento differito del Tfs-Tfr agli statali si è svolta il 9 maggio scorso. Come detto da allora è trascorso oltre un mese, ma ancora nulla è stato deciso. In precedenza i giudici avevano stabilito che il pagamento ritardato della liquidazione agli statali poteva essere considerato legittimo solo per i quotacentisti e gli altri dipendenti usciti in anticipo dal lavoro. Nel caso in cui la Consulta dovesse decidere che il Tfs-Tfr va erogato subito a chi cessa il servizio per raggiunti limiti di età, l’Inps si ritroverà costretta a spendere miliardi di euro nel giro di pochi mesi. La buona notizia è che le risorse per affrontare una simile operazione ci sono. L’Inps, come sottolineato recentemente dallo stesso Pasquale Tridico nella sua conferenza di addio, ha chiuso i conti con un patrimonio di 23 miliardi e un utile di 7 miliardi, in miglioramento di 10 miliardi rispetto al dato del 2021. Tradotto: il salvadanio è pieno. Adesso va solo rotto.