Tfs-Tfr degli statali, il giorno della verità. La Consulta decide sul pagamento differito. Ecco cosa succederà

Tratto da PAmagazine

Comunque vada, sulla vicenda del pagamento ritardato del Trf-Tfs ai dipendenti pubblici sarà messa la parola fine. Verrà stabilito, una volta per tutte, se è lecito che uno statale debba attendere anche sette anni per avere la sua liquidazione. Toccherà di nuovo alla Corte Costituzionale decidere. E lo farà domani. Una sentenza molto attesa che arriva dopo una battaglia durata anni e combattuta in prima linea da Confsal-Unsa (che edita questo sito) a colpi di ricorsi. Era stato il governo Monti, dopo la crisi dello spread del 2011, ad autorizzare il pagamento differito del Tfs-Tfr ai dipendenti pubblici per dare respiro alle finanze dello Stato. Ma già nel 2019 una sentenza della Suprema Corte aveva stabilito che fosse sacrificabile il diritto del lavoratore pubblico alla liquidazione solo nei casi di cessazione anticipata dal lavoro. Anche il Tar del Lazio, esattamente un anno fa, aveva sollevato la questione di legittimità delle norme che attualmente dilazionano il pagamento del Trattamento di fine servizio dei pubblici dipendenti rispetto alla tempistica prevista per il privato, che invece percepisce il Trattamento di fine rapporto già al momento del collocamento in pensione.

Conto alla rovescia

Oggi gli statali aspettano anche 7 anni prima di incassare la liquidazione e con l’inflazione che galoppa ciò si traduce in un taglio dell’assegno corposo. Anche del 30%. Unica scorciatoia: i prestiti delle banche convenzionate (che però non vanno oltre i 45mila euro e che al momento costano di interessi attorno ai 1.500-2.000 euro) e i finanziamenti Inps (che anticipa l’intero ammontare della liquidazione però anche in questo caso c’è un prezzo da pagare tra interessi e spese amministrative). Se domani la Corte Costituzionale dovesse dichiarare illegittimo il pagamento differito della liquidazione allora lo Stato dovrà reperire svariati miliardi di euro per pagare il Tfs agli statali in pensione. Insomma, l’Inps rischierebbe il tracollo: basti pensare che solo nel 2024 andranno in pensione circa 150 mila lavoratori della Pa per una spesa previdenziale superiore a 10 miliardi di euro. Ecco perché nella memoria difensiva depositata agli atti della Consulta l’istituto di previdenza prova a mandare la palla in corner facendo una distinzione tra il Tfs, ossia la liquidazione per i dipendenti assunti fino al 31 dicembre del 2000, e il Tfr, il trattamento di fine rapporto riservato a chi è stato assunto nel pubblico a partire dal primo gennaio del 2001, che in soldoni è una retribuzione differita trattenuta mensilmente dallo stipendio.

Secondo i legali dell’Inps solo il Tfr degli statali potrebbe essere pagato immediatamente come avviene nel privato. Peccato che il Tfr, che è in vigore da soli 22 anni, non può ancora essere richiesto da nessun lavoratore pubblico.

Il precedente

I legali di un ricorrente iscritto al sindacato Confsal-Unsa, ex dipendente pubblico andato in pensione per raggiunti limiti di età che da anni aspetta di ricevere il Trattamento di fine servizio, ricordano tuttavia nella loro memoria difensiva quanto stabilito dai giudici supremi con la sentenza 159 del 2019. I giudici in quell’occasione non solo hanno detto che il pagamento differito può essere considerato lecito solo in caso di uscita anticipata dal lavoro, hanno anche spiegato che non ci sono differenze tra il Tfr e il Tfs perché entrambe le indennità, «si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase di uscita dalla vita lavorativa e sono corrisposte al momento della cessazione dal servizio allo scopo di agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione».


Statali, interessi alle stelle per l’anticipo del Tfs. Unica alternativa: i prestiti dell’Inps all’1%. Ma perché uno statale deve pagare un obolo all’Inps per farsi dare quanto gli spetta?

Statali, interessi alle stelle per l’anticipo del Tfs. Unica alternativa: i prestiti dell’Inps all’1%. Ma perché uno statale deve pagare un obolo all’Inps per farsi dare quanto gli spetta?

Tratto da PAmagazine

Fino a un anno fa gli statali pagavano l’un per cento di interessi quando chiedevano a una banca convenzionata con l’Abi l’anticipo della liquidazione. Oggi invece la musica è cambiata e per 45mila euro di anticipo i dipendenti pubblici in pensione si ritrovano a sborsare anche duemila euro di interessi. Prosegue la corsa del rendistato: ad aprile l’indice generale è arrivato al 3,866% (dal 3,861% di marzo). A dicembre era al 3,662%. Mentre viaggiava sotto la soglia dell’1% a gennaio del 2022, prima della guerra in Ucraina e del rally dell’inflazione. Il rendistato di Bankitalia fotografa il rendimento medio ponderato di un paniere di titoli di Stato ed è sulla sua base che le banche determinano il costo degli anticipi della liquidazione ai dipendenti pubblici. Infatti il tasso finale del finanziamento si calcola sommando il rendistato allo spread, che è sempre pari allo 0,40%.

La batosta

All’inizio del 2022 il rendistato generale viaggiava a quota 0,78% (e quello per le scadenze più lunghe si attestava comunque attorno al 2%). Oggi per le scadenze brevi (tra un anno e un anno e sei mesi) l’asticella raggiunge il 3,362% (in crescita dal 3,307% di marzo), mentre per quelle lunghe (20 anni e sette mesi e oltre) arriva al 4,471% (4,404% a marzo). Insomma, per l’anticipo della liquidazione oggi gli statali pagano anche il 5% di interessi. E in molti non possono permettersi una simile spesa, che peraltro ha il sapore di una beffa, di una “tassa” non dovuta. Unica alternativa: i prestiti dell’Inps, partiti quest’anno. A differenza delle banche l’Inps anticipa somme superiori anche a 45mila euro e applica un tasso di interesse agevolato, fissato all’un per cento. Poi però ci sono da tenere in considerazione le spese procedurali e quelle per l’iscrizione al Fondo credito, ovvero la Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali. E c’è da considerare pure un altro aspetto: non si capisce bene perché uno statale debba pagare un obolo all’Inps per farsi dare dall’Inps quanto gli spetta.

I tempi di lavorazione delle domande di anticipo inoltrate all’istituto di previdenza possono richiedere fino a 180 giorni. Attenzione perché anche l’Inps si riserva la possibilità in futuro, in caso di necessità, di rivedere al rialzo il tasso di interesse sugli anticipi agli statali.

La sentenza

Solo il prossimo anno andranno in pensione 150 mila statali che, per una media di 70 mila euro ciascuno di buonuscita, dovrebbero costare in tutto allo Stato 10,5 miliardi di euro. Ma com’è noto ci vogliono tempi biblici prima che un dipendente pubblico incassi la propria liquidazione: passano anche sette anni, nei casi peggiori. La settimana prossima una sentenza della Corte Costituzionale potrebbe dare una svolta. I giudici supremi devono infatti decidere se sia lecito o meno versare la liquidazione agli statali anni dopo l’effettiva uscita dal lavoro. Decisivi una serie di ricorsi, tra cui quello di un iscritto del sindacato Confsal-Unsa, che da anni si batte per avere il suo Tfs.


Tfs-Tfr degli statali, il giorno della verità. La Consulta decide sul pagamento differito. Ecco cosa succederà