Finanziaria, prepensionamenti e rischio esodati. C’è chi ancora dubita. Ecco alcuni chiarimenti
La lettura dei commenti (uno in particolare) a questo articolo del GdS online dal titolo “Governo-sindacati, muro contro muro. Niente intesa sui prepensionamenti” mi ha convinto a scrivere questo post per chiarire alcuni aspetti della questione di cui si parla da alcuni giorni: la possibilità di revoca della domanda di prepensionamento, per evitare che si possano creare nuovi esodati, e cioè che una eventuale impugnativa della finanziaria da parte di Roma o (ipotesi un po’ più remota ma sempre possibile) una eventuale modifica dei requisiti di accesso alla pensione (tipo la legge Fornero) possa lasciare senza pensione e senza lavoro quei dipendenti regionali che presentano domanda di prepensionamento.
Scrive il commentatore che “i sindacati fanno terrorismo mediatico solo per il proprio tornaconto (…..). Da quanto mi risulta (aspetto eventuale smentita) la domanda è revocabile fino alla cancellazione dai ruoli”.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
Nel Pubblico Impiego il diritto a pensione è sempre stato strettamente collegato alla cessazione del rapporto di lavoro che, secondo l’art. 76 del CCRL 2002/2005 del comparto non dirigenziale, può avvenire:
- al compimento del limite di età, ai sensi delle norme di legge in vigore nella Regione Siciliana;
- per dimissioni del dipendente;
- per decesso del dipendente;
- per perdita della cittadinanza, nel rispetto della normativa Comunitaria in materia;
- per recesso dell’Amministrazione;
- per risoluzione consensuale.
Stesso ragionamento va fatto ai sensi dell’art. 51 del CCRL 2002/2005 della dirigenza.
Prima della privatizzazione del rapporto di lavoro, l’istituto delle dimissioni volontarie nel pubblico impiego era disciplinato in maniera molto diversa dal settore privato: nell’ambito di quest’ultimo l’unico onere che deve essere rispettato dal dipendente è quello del preavviso che, eventualmente può essere sostituito dalla relativa indennità ex art. 2118 c.c.. Per quanto attiene, invece, al settore pubblico, il dipendente, sebbene potesse abbandonare il servizio in qualsiasi momento, disponeva di un margine di azione molto più vincolato, dal momento che la sua volontà non era di per sé sufficiente a provocare l’estinzione del rapporto: affinché ciò si verificasse era, infatti, necessario che le dimissioni fossero accettate dall’amministrazione, la quale avrebbe potuto anche rifiutarsi di accettarle o ritardarle: da ciò traspare la “struttura unilaterale ed autoritativa” dei provvedimenti che regolavano la costituzione e l’evoluzione del rapporto.
Oggi tali norme sono state superate per effetto delle disposizioni del D.Lgs. 29/93 sulla privatizzazione del rapporto di lavoro ed a seguito della stipula dei contratti collettivi a partire dal 1995: anche al rapporto di pubblico impiego si applicano le norme del codice civile, ivi compreso l’art. 2118 c.c..
A seguito della “contrattualizzazione”, il lavoratore pubblico che intenda determinare l’estinzione del rapporto di lavoro non presenta più, come nel regime di diritto pubblico, una “domanda” per l’avvio del procedimento amministrativo culminante nel provvedimento di “accettazione” delle dimissioni, ma manifesta al datore di lavoro la volontà di recesso mediante negozio giuridico unilaterale recettizio (art. 2118 c.c.).
Documentazione a supporto:
- Delibera di Giunta n. 112 del 14 maggio 2015. Collocamento anticipato in pensione. Revoca delle dimissioni
- Comparto Regioni Autonomie Locali (RAL) Orientamento applicativo RAL 1317 del 19/07/2012
- Comparto Regioni Autonomie Locali (RAL) Orientamento applicativo RAL 402 del 06/06/2011
- Sentenza Corte di Cassazione 5 marzo 2013 n. 5413 – Le dimissioni dall’impiego efficaci da subito, senza bisogno di accettazione