Regalie, eredità dei tempi d’oro di cuffariana e berlusconiana memoria che nessuna spending review è riuscita finora a scalfire. Nella vasta galassia di Palazzo d’Orleans e di Palazzo dei Normanni rimangono in piedi premi a pioggia e indennità in busta paga che oggi non hanno più alcuna giustificazione.
«Inutile nascondersi dietro un dito. La Boschi è la nostra zavorra. E anche Gentiloni ne è perfettamente consapevole». Ci sono cose che dieci giorni fa sarebbero state impensabili. All’interno della maggioranza del Pd persino il nominarla, Maria Elena Boschi, era considerato un azzardo.
E invece ieri, a mo’ di rappresentazione plastica di un potere che pare sbriciolato, o comunque percepito come tale, nella pausa del dibattito sulla fiducia, due ministri e un drappello di peones si lasciano andare a quella che — compulsando i sondaggi o guardando le reazioni sulla Rete — appare come una verità persino edulcorata. «La Boschi è la zavorra del governo Gentiloni».
Potrebbe essere il premier giusto per accompagnarci nel sonno alle elezioni dopo tre anni frenetici e ansiogeni di urla, strepiti, risse, smargiassate, promesse, annunci, slide e balle spaziali. Poi la lista dei ministri ci ha riportati precipitosamente dal sogno alla realtà. Prima lezione: dei nostri politici, anche i più insospettabili, non si può mai pensare abbastanza male, perché prima o poi si rivelano peggio delle più nere aspettative. Siccome però la lista, anzi la fotocopia, è uscita direttamente dalla stampante di Renzi, ecco la seconda lezione: mai sopravvalutare l’intelligenza dei nostri politici, che sistematicamente si dimostrano molto più stupidi di quanto li immaginiamo.
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