Scontro nel governo: Giannini boccia la staffetta generazionale. «Un sistema sano non manda a casa anziani »

PensioneStaffetta generazionale: no grazie, perché «un sistema sano non ha bisogno di mandare a casa gli anziani per far entrare i giovani». Non è proprio piaciuto al ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, l’ipotesi avanzata dalla collega della Funzione pubblica Marianna Madia per ringiovanire la pubblica amministrazione illustrata oggi in un’intervista e che ha suscitato perplessità da parte dei sindacati – anche se con quale distinguo – e sollevato il dibattito sull’argomento.

Quale staffetta generazionale? In Sicilia i precari sono tutti ultra50enni. Mandiamo a casa vecchi per assumere altri vecchi?

Intervista del Ministro per la Pubblica Amministrazione Marianna Madia al Corriere della Sera.

Secondo il ministro in Italia ci sono troppi dirigenti, troppo anziani. Va avviato un processo di riduzione non traumatica dei dirigenti e più in generale dei dipendenti vicini alla pensione, per favorire l’ingresso dei giovani. Se non si fa, non ci può essere il rinnovamento della Pubblica amministrazione, ma anzi si andrà verso la sua agonia. Un po’ quello che accade a un Paese che non fa figli.

Secondo la Madia ci sono dipendenti pubblici che si trovano tra i vecchi requisiti di pensionamento e i nuovi ai quali, nell’ambito di un piano nazionale di rinnovamento, potrebbe essere permesso di andare in pensione uno o due anni prima. In questo modo sicuramente si ridurrebbero i dirigenti, rinunciando ai più anziani, e si risparmierebbe sulla spesa pur assumendo.

Si potrebbe – continua la Madia – mandare in pensione 3 dirigenti e sostituirli con un funzionario. La priorità ad essere assunti spetterebbe ai vincitori di concorso. Per i precari si può pensare a dei punteggi da far valere in concorsi aperti a tutti.

Commento.

Anche la Madia non fa nessun accenno alla carriera o alla valorizzazione delle professionalità di coloro che, invece, dovranno restare. Ciò agirebbe sull’aspetto motivazionale del personale con un sostanziale miglioramento dell’efficienza della Pubblica amministrazione.

L’idea, poi, di sostituire 3 dirigenti con un funzionario può volere significare 2 cose: o si era consapevoli che l’organico era sovrastimato e il lavoro che poteva svolgere una sola persona era diviso a 3 unità, o si vuole caricare e sfruttare oltremodo i lavoratori attraverso una riduzione dei salari e un aumento delle ore lavorative.

Diffamazione a mezzo Facebook? Arma a doppio taglio

Con sentenza del 24 marzo 2014, n. 13604, infatti, la Corte di cassazione ha stabilito che la pubblicazione e diffusione su Facebook di contenuti che offendono l’onore e la reputazione di un utente integrano responsabilità da fatto illecito, da cui deriva l’obbligo di risarcimento economico del conseguente danno morale. La novità della sentenza è, soprattutto, quello di aver anche sancito che non è necessario indicare nome e cognome della persona a cui è rivolta un’allusione offensiva: se la “vittima” è facilmente individuabile e la frase incriminata è postata sul proprio o l’altrui stato di Facebook o in commento a qualche altro post, scatta ugualmente il reato di diffamazione.

E’ bene, comunque, stare sempre attenti. Se, infatti, il riferimento alla vittima contenuto nel post diffamatorio non dovesse essere chiaro e immediato, si può passare dalla ragione al torto e rischiare una controquerela per calunnia.