Grazie all’Euro in 20 anni ogni tedesco ha guadagnato 23 mila euro, ogni italiano ne ha persi 75 mila

Il Messaggero del 26 febbraio 2019

Da quando c’è l’euro, ogni cittadino tedesco ha guadagnato in media 23mila euro, ogni italiano ne ha persi 74mila. La Germania è “di gran lunga” il Paese che più ha tratto profitto dall’entrata in circolazione della moneta unica, l’Italia quello che ci ha rimesso di più. Nel suo ventesimo anniversario, l’euro si mostra in tutta la sua controversa natura di generatore di diseguaglianze.

La Germania e i Paesi Bassi hanno tratto enormi benefici dall’euro nei vent’anni trascorsi dalla sua introduzione, mentre per quasi tutti gli altri membri la moneta unica ha rappresentato un freno alla crescita economica. E l’Italia è il Paese in cui la moneta unica ha avuto i maggiori effetti negativi: senza l’euro, tra 1999 e 2017 il pil del Paese sarebbe aumentato di 4.300 miliardi di euro in più, pari a 73.600 euro pro capite. Sono le conclusioni a cui arriva lo studio 20 years of the euro: winners and losers del think tank tedesco Centrum für europäische Politik (Cep), secondo cui i Paesi membri che hanno promosso l’ortodossia di bilancio e criticato il salvataggio dei Paesi più indebitati sono stati i maggiori beneficiari della valuta unica. Dietro l’Italia nella classifica dei più penalizzati c’è la Francia, con una perdita di 56mila euro pro capite. Al contrario, i tedeschi grazie all’ingresso nell’Eurozona si ritrovano più ricchi di 23mila euro pro capite e gli olandesi di 21mila.

Dossier M5S. In Sicilia l’Ars costa mille euro al minuto e 137 milioni all’anno. Più della Casa Bianca

Il Fatto Quotidiano del 27 febbraio 2019

I consiglieri regionali dei 5 stelle sull’isola hanno presentato un dossier su costi e produttività del parlamento regionale. Il costo al minuto è calcolato in base alle ore lavorate in aula (246 ore e 33 minuti) e ai 15 milioni di euro pagati per le indennità dei parlamentari. Durante tutti i 12 mesi del 2018 il consiglio regionale ha lavorato 7,52 giorni al mese. In totale 87 giorni in un anno.

Regione Siciliana. Pubblicati bilancio e finanziaria 2019

Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana la legge regionale 22 febbraio 2019, n. 1 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale” e la legge regionale 22 febbraio 2019, n. 2 “Bilancio di previsione per la Regione Siciliana per il triennio 2019-2021”.

Vi segnalo gli articoli 26 e 27 della finanziaria. Il primo reintroduce il finanziamento del fondo per il trattamento accessorio dei dipendenti con le quote del personale cessato dal servizio, il secondo prevede la possibilità per l’amministrazione di contingentare il personale che ha presentato domanda di pensionamento ai sensi della L.r. 9/15 per 1 anno (come era prima) o, SOLO previo consenso del dipendente, per 2 anni.

Nuovo sistema di valutazione del personale. Manca la procedura di conciliazione in caso di contestazione delle schede. Il Cobas/Codir si rivolge al TAR

Palermo, 25 febbraio 2019
Con deliberazione n. 11 del 3 gennaio 2019 la Giunta di Governo ha apprezzato il nuovo “Sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale” CHE COSTITUIRÀ, già a partire dal 2019, IL NUOVO STRUMENTO ATTRAVERSO CUI VERRÀ EROGATO IL SALARIO ACCESSORIO (E NON SOLO) A TUTTO IL PERSONALE NON DIRIGENZIALE!

Con nota n. 019/45 del 21 gennaio 2019 indirizzata, tra l’altro, anche al Presidente della Regione e all’Assessore alla Funzione Pubblica, il COBAS/CODIR aveva mosso, tra l’inspiegabile indifferenza di tutte le forze sindacali (a eccezione del Sadirs che sta avviando analogo ricorso), precise obiezioni chiedendo venissero apportate alcune modifiche sostanziali a tutela dei più basilari diritti legittimi dei lavoratori.

Il COBAS/CODIR ha, inoltre, denunciato la mancata richiesta, da parte delle Istituzioni regionali preposte, del parere obbligatorio del CUG – Comitato Unico di Garanzia – previsto dall’art. 57 del D.lgs 165/2001 che, di fatto, avrebbe reso annullabile il documento in questione.

A seguito di ciò l’Amministrazione ha acquisito in sanatoria il parere obbligatorio del CUG (che, tra l’altro, aveva fatto proprie, quasi integralmente, le osservazioni del COBAS/CODIR), MA HA RITENUTO INOPINATAMENTE DI NON DOVERE APPORTARE AL DOCUMENTO ALCUNA MODIFICA, LASCIANDOLO SOSTANZIALMENTE INVARIATO.

Si riportano, brevemente, le varie contestazioni e richieste sollevate dal COBAS/CODIR:

  1. NO alla complessità della procedure messe in campo;
  2. NO all’assegnazione di obiettivi anche al personale del comparto;
  3. NO al collegamento diretto tra mancato raggiungimento degli obiettivi da parte dei dirigenti e mancata erogazione del salario accessorio al personale del comparto;
  4. NO all’eccessivo sbilanciamento del sistema di valutazione in favore della dirigenza che, in taluni casi, potrebbero valutare il comparto senza la necessaria obiettività vanificando il compito di valorizzare il merito e, conseguentemente, l’erogazione dei premi per i risultati conseguiti;
  5. SI alla valutazione “BOTTOM UP” (ovvero la valutazione del dirigente anche da parte del personale componente l’unità lavorativa), TUTTO CIO’ ANCHE PER IL RILIEVO VINCOLANTE CHE LA NUOVA VALUTAZIONE, SECONDO LA NUOVA NORMATIVA NAZIONALE, AVRÀ SULLA PROGRESSIONE ECONOMICA ORIZZONTALE E SULLE FUTURE PROGRESSIONI DI CARRIERA.

RITENENDO, QUINDI, CHE NULLA DEBBA LEDERE I DIRITTI DELLA PARTE PIÙ DEBOLE DELLA PROCEDURA DI VALUTAZIONE, IL COBAS/CODIR SI RIVOLGE AL TAR PER CHIEDERE LA SOSPENSIVA.
L’assenza di una procedura di conciliazione, infatti, in caso di contestazione dell’esito della valutazione non è ammissibile, tanto meno l’incredibile previsione del riesame della valutazione solo da parte dello stesso dirigente che ha espresso il voto contestato (ciò è in netto contrasto con quanto previsto dall’art. 7, comma 3, lettera b, del d.lgs. n. 150/2009 e specificato con 2 successive delibere CIVIT n. 104/2010 e n. 124/2010, che ribadiscono la necessità, in caso di conflitto, di individuare soggetti terzi ed esterni rispetto al valutato e valutatore).

LA RESPONSABILITÀ PER L’ASSENZA DI UN SISTEMA DI VALUTAZIONE, IN CASO DI ACCOGLIMENTO DEL RICORSO, SARA’ ESCLUSIVAMENTE DELL’ASSESSORE!!!

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Il Cobas/Codir contesta il nuovo “Sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale”

I bilanci delle Regioni. Indennità e straordinari: “Spese fuori controllo”

Indennità, stipendio base, straordinari dei dipendenti a tempo indeterminato e determinato sono il tema della sesta puntata del Giornale sulle spese delle Regioni valutate dalla Fondazione Gazzetta Amministrativa attraverso l’algoritmo Pitagora.

Prima di osservare il monte spesa generale merita una nota proprio l’universo delle indennità. Secondo il glossario del sistema Siope della Banca d’Italia, rientrano sotto questa voce i compensi di posizione, risultato, produttività, e anche le «gratifiche natalizie di fine anno». Osservando i singoli bilanci, compaiono anche «assegni ad personam». Sono dunque retribuzioni legate a mansioni specifiche e obbiettivi raggiunti. Secondo un analisi della Corte dei Conti del 2015, all’epoca le Regioni erano in disavanzo per 33 miliardi di euro. Ma i premi non mancano mai, grazie a un sistema di valutazione della performance che assegna spesso voti altissimi agli esaminati.

 

Rischio fuga dalla P.A. malata? Ecco i veri motivi della fuga: prospettive di carriera pari a zero e rischio di percepire tra qualche anno una pensione più bassa di oggi

Nell’articolo di qualche settimana fa pubblicato sul Sole 24 Ore, Verbaro cerca di analizzare i motivi della disaffezione dei dipendenti pubblici nei confronti della pubblica amministrazione e “quota 100” potrebbe essere l’ultima occasione per scappare.

La disamina di Verbaro non fa una grinza tranne, a mio avviso, quando parla di “percorsi di carriera poco trasparenti, lenti e che premiano quasi sempre l’anzianità invece del merito e dell’innovazione”.

NON SI CAPISCE A QUALI PERCORSI DI CARRIERA SI RIFERISCA VERBARO, VISTO CHE il D.lgs 150/09 (cd. decreto Brunetta) è intervenuto sulle progressioni verticali, di fatto abolendole.

Le progressioni di carriera sono consentite esclusivamente mediante la partecipazione a concorsi pubblici, con riserva di posti non superiore al 50% e, con il blocco delle assunzioni, prima, e con i concorsi INTERAMENTE riservati per le stabilizzazioni, poi, non ricordo concorsi nella pubblica amministrazione da oltre 15 anni.

In Sicilia gli ultimi concorsi alla Regione risalgono agli anni 90 e la maggior parte dei dipendenti andrà in pensione con la stessa qualifica con cui è stato assunto.

Altro motivo del FUGGI FUGGI che Verbaro trascura nella sua analisi, è il continuo intervento del legislatore che, con leggi retroattive di dubbia costituzionalità, ha, via via, modificato in modo peggiorativo il sistema di calcolo della pensione dei dipendenti in servizio. Questi interventi sono stati considerati legittimi dalla Corte Costituzionale. Una volta erogata la pensione, invece, ogni intervento del legislatore è stato dichiarato incostituzionale.

Se restando in servizio rischio, tra qualche anno, di percepire una pensione inferiore rispetto ad oggi, tanto vale scappare……

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Pensioni, la fuga dalla Pubblica amministrazione malata

Uffici Pubblici chiusi per Meteo: lo stipendio non viene erogato

tratto da Italia Oggi – 22 Febbraio 2019

Uffici chiusi per meteo? Niente retribuzione

di EUGENIO DE CARLO – Italia Oggi – 22 Febbraio 2019

Con circolare ministeriale n.4/RU del 08/02/2019, il ministero dell’ interno ha diffuso la posizione dell’ Aran in ordine alla chiusura degli uffici pubblici per eventi meteorologici eccezionali, disposta con ordinanza di necessità ed urgenza, ed alle assenze dal servizio del personale dipendente, anche alla luce del nuovo Ccnl funzioni locali sottoscritto il 12.2.2018. L’ Agenzia ha precisato che ove l’ordinanza riguardi sia il pubblico che gli stessi dipendenti addetti all’ Ufficio, l’ assenza non sarà sanzionabile sul piano disciplinare, in quanto determinata da un’ impossibilità oggettiva di rendere la prestazione lavorativa…..continua a leggere

Pensioni, la fuga dalla Pubblica amministrazione malata

Il Sole 24 Ore del 28 gennaio 2019

Tratto da “Il Sole 24 Ore”

–di Francesco Verbaro

La paura che molti dipendenti in possesso dei requisiti utilizzino “quota 100” anche oltre la convenienza relativa all’importo della pensione e alla possibilità di usufruire del trattamento di fine servizio solleva nuove domande sulla qualità del lavoro e dell’organizzazione del settore pubblico. Si susseguono gli allarmi sulla fuga dalla Pa con il rischio di trovarsi con uffici vuoti, con danni per la funzionalità e i servizi ai cittadini.

Sarebbe quindi utile interrogarsi sul malessere presente nelle Pa e sul perché, nell’era dell’active ageing e della necessità di avere una pensione adeguata in relazione all’aspettativa di vita, ci sarebbe un grande interesse a lasciare il posto pubblico, nonostante le penalizzazioni sull’assegno e sul divieto di cumulo.

L’occasione è utile per capire se c’è un malessere nel pubblico impiego (sì), da cosa nasca e come superarlo. Il fatto che molti dipendenti manifestino l’intenzione di lasciare la Pa appena possibile, se può essere interessante dal punto di vista dei costi, può costituire un indicatore di cattiva organizzazione. Intendiamoci, raramente il pubblico impiego ci ha regalato scene di entusiasmo; ma storie di appartenenza e di fidelizzazione sì.

Certamente “quota 100” può costituire l’ultima finestra utile prima di un’ulteriore stretta della normativa, a tutela della sostenibilità del sistema previdenziale (a ripartizione e in un Paese a demografia negativa), e questo può rappresentare una spinta importante. Ma ci sono altri fattori. Non si spiegherebbero gli allarmi per le possibili fughe in sanità, scuola, Comuni e ministeri. Ci sono lavori usuranti, soprattutto nella scuola, nella sanità o tra le forze dell’ordine, che possono giustificare una parte della “fuga”. Il deterioramento dei settori scolastico e sanitario è al contempo frutto e causa del malessere dei dipendenti. Ma è determinante la mancanza di una gestione delle risorse umane. La Pa, salvo rare eccezioni, è un contesto lavorativo demotivante.

Si sceglie il settore pubblico per ovviare all’incertezza dei mercati del lavoro di oggi, ma una volta reclutati il rischio è di languire in organizzazioni piatte e vecchie. L’entusiasmo iniziale e l’apporto di innovazione rischiano di scomparire già dopo il periodo di prova. È giusto prevedere il ritorno del giuramento (come fa la delega Bongiorno), ma non basta a fidelizzare le risorse umane. I reclutamenti dei prossimi mesi devono diventare un’occasione per cambiare il modo di gestire il personale.

Non basta assicurare un turnover del 100%, è importante curare l’inserimento per conseguire l’innovazione con il reclutamento. Per questo sono importanti policy raramente seguite dal datore di lavoro pubblico. Ne ricordiamo alcune.

La formazione nella Pa è ridotta a poca cosa, e quella di ingresso è scomparsa; sempre meno si programmano corsi di formazione per facilitare l’inserimento e trasmettere conoscenze e valori “aziendali”.

I percorsi di carriera sono poco trasparenti, lenti e premiano quasi sempre l’anzianità invece del merito e dell’innovazione. Profili professionali vecchi non favoriscono la specializzazione, l’identità e l’orgoglio professionale. La reputazione del settore pubblico è negativa. Raramente si troverà un dipendente orgoglioso nel dire «lavoro al comune o al ministero”. La Pa non attrae i migliori e non crea spirito di appartenenza.

I livelli salariali sono poi più bassi rispetto al privato, in termini sia di retribuzione sia di benefit o welfare aziendale. Per chi viene assunto nella Pa c’è un rischio elevato di rimanere per anni nell’ufficio di ingresso, con scarse opportunità di crescita professionale prima ancora che di carriera.

Sono poche le leve in mano ai dirigenti per premiare; ma occorre ricordare che manca una cultura della valorizzazione delle risorse umane in grado di utilizzare strumenti non monetari della motivazione. Il divario crescente tra lavoro pubblico e privato è oggi più nella gestione che nelle fonti di regolazione.

C’è un’occasione storica per innovare la Pa italiana (si stimano solo per turnover circa 150mila nuove assunzioni all’anno), ma bisogna essere consapevoli che la sola sostituzione anagrafica non basta. Il capitale umano va curato e non sprecato. Il reclutamento non può essere ridotto a problema giuridico (come si fanno i concorsi) ed economico (come si rispetta il tetto di spesa). Le amministrazioni si preparino ad accogliere i nuovi assunti in maniera diversa da come è avvenuto nel passato. Da un buon engagement dipende la qualità e la produttività delle persone. Ed è a tutti noto quanto la Pa italiana abbia bisogno di tutto questo.

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Commento

Francesco Vebaro è docente stabile presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e autore di numerose pubblicazioni in materia di Lavoro pubblico e Diritto del Lavoro.

Nel 2004 è stato anche componente del direttivo dell’ARAN Sicilia.

Verbaro nell’articolo cerca di analizzare i motivi della disaffezione dei dipendenti pubblici nei confronti della pubblica amministrazione e “quota 100” potrebbe essere l’ultima occasione per scappare.

La disamina di Verbaro non fa una grinza tranne, a mio avviso, quando parla di “percorsi di carriera poco trasparenti, lenti e che premiano quasi sempre l’anzianità invece del merito e dell’innovazione”.

NON SI CAPISCE A QUALI PERCORSI DI CARRIERA SI RIFERISCA VERBARO VISTO CHE il D.lgs 150/09 (cd. decreto Brunetta) è intervenuto sulle progressioni verticali, di fatto abolendole.

Le progressioni di carriera sono consentite esclusivamente mediante la partecipazione a concorsi pubblici, con riserva di posti non superiore al 50% e, con il blocco delle assunzioni, prima, e con i concorsi INTERAMENTE riservati per le stabilizzazioni, poi, non ricordo concorsi nella pubblica amministrazione da oltre 15 anni.

In Sicilia gli ultimi concorsi alla Regione risalgono agli anni 90 e la maggior parte dei dipendenti andrà in pensione con la stessa qualifica con cui è stato assunto.

Altro motivo del FUGGI FUGGI che Verbaro trascura nella sua analisi, è il continuo intervento del legislatore che, con leggi retroattive di dubbia costituzionalità, ha, via via, modificato in modo peggiorativo il sistema di calcolo della pensione dei dipendenti in servizio. Questi interventi sono stati considerati legittimi dalla Corte Costituzionale. Una volta erogata la pensione, invece, ogni intervento del legislatore è stato dichiarato incostituzionale.

Se restando in servizio per qualche altro anno rischio di prendere di meno come pensione, tanto vale che scappo……

Concorsi pubblici: l’assistenza al famigliare disabile costituisce titolo preferenziale per la scelta della sede?

Il diritto di scelta della sede di lavoro, assicurato al lavoratore che assista con continuità un familiare handicappato convivente (art. 33 legge n. 104/1992), non costituisce un titolo preferenziale o una prelazione in favore del lavoratore vincitore di concorso, e non consente mai di sovvertire l’ordine di assegnazione delle sedi secondo la graduatoria finale. Lo stabilisce il Tar Lazio, sez. I bis, ordinanza 11 febbraio 2019 n. 1035….continua a leggere