Dipendenti pubblici incompetenti? No, poco motivati: il risultato dello studio

Tratto da ilovetrading.it

A lungo si è pensato che la piaga del pubblico impiego fosse l’incompetenza. Ma forse a mancare sono soprattutto le motivazioni.


È quanto sembra emergere da uno studio recente sullo stato della Pubblica Amministrazione italiana, che appare in netta difficoltà negli ultimi anni.

Dipendenti pubblici, sono sempre di più: oggi la PA conta 3,266 milioni lavoratori, la cifra più alta degli ultimi dieci anni. Ma malgrado questo boom le amministrazioni pubbliche faticano a trovare tecnici e altre figure specializzate.

A pesare sulla difficoltà di reclutamento sono sostanzialmente le retribuzioni troppo basse, i contratti troppo corti e la concorrenza sempre più feroce dei privati. È il quadro emerso dall’ultima ricerca sul lavoro pubblico condotta da Fpa, società del gruppo Digital360.

PA: il crollo dei concorsi

Preoccupa in particolare il flop degli ultimi concorsi, col numero dei partecipanti crollato e il grande numero di rinunce degli idonei a un posto nella PA. Tanto che da inizio giugno 2021 a giugno 2022 per ogni posto messo a bando si sono presentati appena in 40. Per dare un’idea del crollo, basti pensare che nei due anni precedenti a presentarsi ai concorsi in media erano 200 candidati.

Inoltre in media 2 vincitori su 10 hanno poi rinunciato al posto, con picchi del 50% per i posti a tempo determinato. Molti poi (il 42%) hanno partecipato a più di un concorso e il 26% lo ha superato almeno in due occasioni. Col risultato che diversi candidati hanno rifiutato di trasferirsi in una pubblica amministrazione al Nord, dove il costo della vita è più alto.

Dipendenti pubblici: personale sempre più vecchio e stipendi che crescono poco

Malgrado il boom dei lavoratori pubblici, il nostro Paese ha un numero totale di dipendenti del pubblico nettamente più basso rispetto a quello dei maggiori Stati europei. In Italia ci sono 5,5 impiegati statali ogni 100 abitanti, contro i 6,1 della Germania e gli 8,3 della Francia.

Nel corso del 2021 grazie ai concorsi ci sono stati più di 150 mila assunti, ma l’8,5% era già un dipendente pubblico. Fatto che non facilita lo svecchiamento del personale che nella PA ha un’età media avanzata, pari a 50,7 anni. E entro il 2033 più di un milione di statali andranno in pensione, circa un terzo dell’attuale forza lavoro.

Ci saranno amministrazioni costrette a sostituire metà del personale, in particolare nella scuola (463.257), nella sanità (243.130) e negli enti locali (185.345). Brutte notizie anche sul fronte degli stipendi dei dipendenti statali, che crescono più lentamente di quelli privati. Se nel 2009 l’indice della retribuzione oraria si attestava a 98 per il settore pubblico e a 88,8 per quello privato, adesso siamo a 106,1 per il pubblico e a 105,4 nel privato.

TFR e TFS differito ai dipendenti pubblici: la Consulta rinvia il giudizio

Tratto da PMI.it
Pagamento TFS e TFR differito ai dipendenti pubblici sotto la lente della Consulta: una sentenza chiave per decidere il destino di milioni di pensionati.

Riflettori puntati sul parere della Corte Costituzionale chiamata a esprimersi sulla legittimità del pagamento differito del TFR e TFS ai dipendenti pubblici, che per legge può arrivare anche a diversi anni.

Con la sentenza n. 92 dell’11 maggio, la Suprema Corte ha bocciato alcune disposizioni locali (Art. 13, c. 6°, 21°, 57°, 58° e 68°, della legge della Regione Siciliana 25/05/2022 n. 13) che consentivano l’anticipazione del trattamento di fine servizio ai dipendenti in quiescenza.

Si è invece riservata di esprimersi successivamente sulle altre questioni di legittimità poste, in particolare sulle modalità nell’Impiego pubblico di erogare l’anticipazione del TFS.

TFS e TFR posticipato agli Statali: è illegittimo?

Secondo l’attuale disciplina, non soltanto il trattamento di fine rapporto o servizio degli statali è posticipato di 12 mesi rispetto al pensionamento e di 24 mesi rispetto alle dimissioni volontarie (arrivando fino a 5 anni di attesa per i lavoratori in pensione anticipata), ma anche la liquidazione è prevista a scaglioni per importi superiori a 50mila euro, in due o tre rate annuali a seconda che l’importo superi o meno i 100mila euro.Il problema è che, se la Consulta dovesse ritenere illegittimo il versamento ritardato del TFS/RFR agli statali, scatterebbe un obbligo di messa in pagamento pari a circa 14 miliardi di euro, cifra che metterebbe a rischio i conti INPS e minerebbe la tenuta del sistema previdenziale.

In una precedente sentenza (la n.159/2019), la Corte Costituzionale aveva disposto che non venisse applicata alcuna differenza tra il Tfr e il Tfs, contemplando un differimento solo per le pensioni anticipate, invitando il Parlamento a intervenire, senza che però nulla cambiasse in questi anni.

Una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di distinguere tra vecchi TFS dei dipendenti assunti fino al 31 dicembre 2000 (commisurata all’80% dell’ultima retribuzione) ed i nuovi TFR di coloro i quali sono stati assunti nel settore pubblico da gennaio 2001 (quota di retribuzione differita trattenuta sullo stipendio).

Anticipo TFS a ostacoli

In realtà la questione è ancora più complessa: oltre ai milioni di pensionati in attesa del verdetto, un’altra ingente coorte di dipendenti pubblici uscirà dalla PA entro fine 2023 per raggiunti imiti di anzianità, rendendo la platea dei potenziali beneficiari del pagamento del TFR/TFS uno spinoso punto interrogativo per lo Stato.

Di contro, rivendicare tale diritto sembra oggi più che mai lecito considerando che le anticipazioni INPS al tasso di interesse dell’1% chieste a partire dallo scorso febbraio non sono ancora partite e che l’alternativa del prestito bancario da 45mila euro come anticipo del TFS è troppo costoso a causa dell’innalzamento del rendistato (quasi al 4%) su cui si basa il tasso di interesse applicato, portando il balzello fino a circa 2000 euro.

Pensioni, l’Inps va verso il collasso. Come è stato possibile

Tratto da milanofinanza.it

Di Sergio Rizzo

Se il presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi avesse saputo a che cosa il Paese sarebbe andato incontro decenni dopo, forse quel decreto luogotenenziale del marzo 1945, firmato da Umberto di Savoia, che faceva le veci di suo padre Vittorio Emanuele III, non avrebbe mai visto la luce. E oggi quello delle pensioni sarebbe tutto un altro film. Perché il baco nel sistema previdenziale italiano viene introdotto con quel provvedimento del quale si fatica a comprendere la ragione, considerando che la guerra non è ancora finita e nessuno è in grado di dire che cosa potrà accadere di lì a poco.

Pensioni, il filo rosso delle cattive riforme

Eppure il secondo governo Bonomi decide che è il momento di una riforma delle pensioni. Da quel momento il sistema a «capitalizzazione», per cui le pensioni si pagano con i contributi investiti (che quindi danno un rendimento e crescono), sarà parzialmente sostituito da un sistema a «ripartizione», per cui le pensioni si pagano invece con i contributi versati da chi lavora. Che non vengono investiti e non rendono nulla. (altro…)

La sentenza della Corte Costituzionale dimostra che su contratto e riclassificazione il Cobas-Codir ha avuto da sempre ragione. E il governo Meloni ha già annunciato che salterà il prossimo rinnovo 2022-2024

La sentenza della Corte Costituzionale non è stata una sorpresa per il Cobas-Codir. Del resto le motivazioni del ricorso promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro la legge di stabilità regionale 2022-2024 erano abbastanza chiare fin dall’inizio. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha, infatti, impugnato gli articoli (poi bocciati dalla Corte Costituzionale) che prevedevano le somme per il trattamento accessorio e per la riclassificazione non perché suddette somme fossero illegittime o non dovute (come si legge in qualche articolo stampa che addirittura scambia la Corte Costituzionale con la Corte di Cassazione) ma perché per la loro copertura sono stati utilizzati risparmi di spesa «destinati, invece, alla realizzazione del piano decennale di rientro dal disavanzo», e pertanto sarebbero prive di copertura finanziaria.

Fin dall’inizio il Cobas-Codir ha chiesto la rivisitazione dell’accordo Stato-Regione affinché venisse reso più morbido per ciò che attiene alle spese per il personale. Lo ha chiesto, invano, al governo Musumeci e dobbiamo chiederlo con forza al governo Schifani.

Tra l’altro il governo Meloni ha già annunciato che il prossimo rinnovo contrattuale dei dipendenti pubblici 2022-2024 salterà perché non ci sono soldi.

Perché ora dovremmo accontentarci di aumenti inferiori rispetto a quello ricevuto dagli statali?

Lamentarsi o protestare sui social non serve a nulla.

Mercoledì 24 scendiamo compatti in piazza facendo sentire la nostra voce. Si tratta di un’assemblea retribuita in cui decideremo assieme altre forme di lotta.

Leggi questo articolo e capirai perché è arrivato il momento di scendere in piazza mercoledì prossimo 24 maggio. Io ci sarò e tu?

Tagliate ulteriormente le somme già insufficienti per un dignitoso rinnovo contrattuale non perchè i sindacati giocano al ribasso (come dicono i disfattisti) ma perchè ci sono accordi capestro firmati dai precedenti governi che hanno costretto i giudici della Corte Costituzionale ad impugnare le norme della finanziaria.

Il taglio delle risorse non consente neppure quel poco che si sarebbe potuto fare in termini di riclassificazione e progressioni di carriera PER TUTTE LE CATEGORIE non perchè lo dice il sottoscritto a nome del Cobas-Codir (come sostiene qualche ignorante o in malafede) ma per le norme attuali che dobbiamo contribuire tutti a fare cambiare scendendo in piazza.

Lamentarsi dopo o lamentarsi sui social non serve a nulla.

Dobbiamo scendere in piazza per fare sentire la nostra voce senza ascoltare le sirene dei detrattori che remano contro non si capisce per quale motivo.

È arrivato il momento di scendere in piazza mercoledì prossimo 24 maggio. Io ci sarò e tu?


La Corte Costituzionale boccia la copertura per gli incrementi del salario accessorio e la riclassificazione del personale. Due norme contenute nella finanziaria del 2022 che sono state impugnate dal consiglio dei ministri e alle quali si era opposta la Regione. Due forme di finanziamento da 1,6 mln e da 3,5 milioni tramite tagli alla spesa che non hanno convinto i magistrati. Norme che riguardano il contratto dei regionali scaduto nel 2021 e il cui rinnovo è in trattativa in questo momento.

Una misura questa (ovvero l’aumento dello 0,22% che viene riconosciuto a livello nazionale) contenuta nell’accordo Stato-Regione Siciliana per il ripiano decennale del disavanzo sottoscritto il 14 gennaio 2021 e che la Regione ha deciso di coprire con tagli di spesa.

Le norme spiegano i magistrati «si porrebbero in evidente contrasto con l’impegno alla riduzione strutturale delle spese di personale, assunto dalla Regione Siciliana con l’accordo sottoscritto con lo Stato». Ed anche quando questo incremento fosse stato ottenuto senza intaccare i vincoli del patto, la norma è definita incostituzionale perchè «priva di adeguata copertura finanziaria».

Mancano i dirigenti, emergenza alla Regione Siciliana: saranno promossi i funzionari, ma a tempo

Tratto da GdS.it

La pianta organica del dipartimento Acqua a Rifiuti conta 11 dirigenti ma in servizio ce ne sono solo 6 e dal mese prossimo un altro andrà in pensione portando così la copertura dei posti sotto la soglia del 50%. Al dipartimento Energia sono invece 4 su 12 le postazioni dirigenziali vuote. E di fronte a questi numeri, sul tavolo della giunta della Regione Siciliana che si è riunita ieri a Palazzo d’Orleans, è arrivata la proposta di affidare temporaneamente gli incarichi di vertice anche a semplici funzionari, purché laureati. È una proposta, quella portata sul tavolo del governo dall’assessore Roberto Di Mauro, che aprirebbe una nuova prassi alla Regione…..continua a leggere

Vi ripropongo la lettura di questo articolo tratto dal sito dell’Anci da cui è scaricabile una guida sul nuovo sistema di classificazione del personale. Qualcuno (in malafede) ha diffuso la notizia che l’avesse scritta il Cobas-Codir

Nei giorni scorsi ho pubblicato su questo blog un post (che puoi leggere QUI) in cui segnalavo la lettura di un articolo pubblicato sul sito dell’Anci da cui è possibile scaricare il 39simo quaderno Anci sul reinquadramento del personale, alla luce del nuovo ordinamento professionale.

Qualcuno ha pubblicato il mio articolo con un commento di dubbio gusto, facendo credere a pochi sprovveduti che io  fossi l’autore della guida (gli autori sono, invece in bella mostra sulla copertina) e che, quanto scritto nel quaderno, fosse la proposta del sindacato che rappresento piuttosto che uno dei tanti articoli che pubblico sul blog per informare i colleghi di ciò che accade intorno a noi.

Ovviamente, lo sottolineo per chi non non lo comprende pur aspirando a rappresentare i lavoratori, l’attività proveniente e riconducibile al Cobas-Codir riporta rigorosamente il logo del sindacato il cui sito ufficiale è www.codir.it.

CCNL Funzioni Locali: una guida sul nuovo sistema di classificazione del personale