Giustizia lenta? Nella legge di stabilità 2015 modifiche restrittive alla legge Pinto

La Legge di Stabilità 2016 ha introdotto rilevanti modifiche alla cd. Legge Pinto (L. n.89 del 2001) regolamentando alcuni aspetti ma, fondamentalmente, riducendo la possibilità di ottenere l’indennizzo e riducendo, altresì, la quantificazione dell’indennizzo stesso.

Per ottenere l’indennizzo, infatti, non basterà affermare di aver subito un danno patrimoniale o non patrimoniale, ma anche di aver promosso tutti i rimedi preventivi per evitare che il processo non rispettasse i termini ragionevoli.

L’indennizzo viene, inoltre, ridimensionato ed è ora previsto (art. 2 bis) in una misura che va da un minimo di euro 400 a un massimo di euro 800 (mentre prima il massimo era previsto in euro 1500).

Quanto reggerà ancora l’Euro senza unione politica? Anche la Polonia rinuncia all’Euro

Mi pare che i fatti documentati siano più eloquenti delle parole.

I paesi Europei che non hanno aderito all’Unione Monetaria pur facendo parte dell’Unione Europea (Inghilterra, Svezia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca) sembrano non risentire della crisi e sono in forte crescita, compreso quei paesi come Islanda e Croazia che avevano già intrapreso le politiche di austerity per entrare nell’euro sprofondando nella crisi economica, salvo poi abbandonare in corsa il progetto e riprendersi rapidamente.

Un discorso a parte va fatto per la Finlandia comparandola con la vicina Svezia (che non aderisce all’Euro). Fino al 2008 le economie delle due nazioni crescono più o meno in modo simile, poi crollano dopo la crisi finanziaria negli Usa e da lì si salutano. Oggi a Stoccolma il Pil è dell’8% superiore a quello del 2008: fa una differenza di 20 punti percentuali coi cugini. La Svezia, però, non ha l’euro: tra il 2008 e il 2009 ha lasciato svalutare la corona di circa il 20% restaurando per questa via la sua competitività.

Svezia

Sono passati quasi undici anni da quando gli elettori svedesi si sono recati alle urne per votare sull’adozione dell’euro. In quel referendum, che si e’ tenuto il 14 Settembre 2003 il 55,9% ha votato no nonostante tutti i partiti politici e i mezzi di informazioni abbiano fatto una campagna martellante per convincere gli svedesi ad adottare la moneta unica.

All’epoca Romano Prodi rimase molto deluso e disse che gli svedesi non hanno capito cose fosse giusto per loro e ha criticato l’uso dei referendum perche’ secondo lui la gente non e’ capace di fare le scelte giuste.

La Svezia ha il tasso di occupazione più alto d’Europa.

Polonia

Sono passate poche settimane da quando il nuovo governo polacco ha iniziato il suo mandato, ma dal quel poco che si e’ visto e’ possibile dedurre che sara’ molto piu’ euroscettico di quello precedente e la prima dimostrazione si e’ avuta – già la scorsa settimana – quando il ministro Henryk Kowalczyk ha dichiarato che la Polonia per il prossimo futuro rimarra’ fuori dall’euro. E per “prossimo futuro” ha inteso sottolineare che si tratta di anni e non di mesi.

In quell’occasione, il capo del consiglio dei ministri polacco ha anche rimarcato come il mantenimento della propria valuta abbia permesso alla Polonia di avere una delle crescite economiche piu’ alte tra i paesi europei e se questo non bastasse, le ha evitato contemporaneamente la trappola del debito che sta strangolando l’economia greca.

Forse in futuro le condizioni cambieranno e potremmo decidere di entrare nella moneta unica, aveva concluso, “ma per la Polonia e’ bene rimanerne fuori”.

Repubblica Ceca

Anche Praga, che con un rapporto debito pubblico-Pil circa al 50% avrebbe tutte le carte in regola per entrare nell’eurozona, si guarda bene dall’abbandonare la corona ceca. I sondaggi sono impietosi: sempre secondo l’Eurobarometro, nell’aprile scorso il 70% dei cechi era contrario alla moneta unica. Il referendum sull’ingresso nell’eurozona, caldeggiato dal presidente Milos Zeman, viene continuamente rimandato.

Ungheria

Alla ricerca di stabilità e benessere, Budapest stava lavorando sodo per entrare nell’eurozona fin dal lontano 2003, con l’obiettivo di adottare la moneta unica nel 2007 o nel 2008. Ma la crisi finanziaria mondiale post Lehman e poi quella del debito sovrano europeo hanno spinto gli ungheresi a restare abbracciati al fiorino, senza indicare una data di adozione dell’euro, nemmeno lontanissima.

Islanda

Grazie alla svalutazione della moneta l’Islanda riuscì ad attirare nuovi turisti e cercò di riciclarsi in quel settore. Dal 2006 al 2014, il turismo ha raddoppiato il proprio giro d’affari. Pian piano, anche il resto l’economia islandese ha ripreso ad espandersi: nel 2011 il PIL è tornato a crescere del 2,9 per cento, mentre per il 2015 è prevista un’ulteriore crescita del 4,1 per cento. Il tasso di disoccupazione è al 4 per cento, ed è in calo costante dal 2011 (quando aveva raggiungo il 9 per cento).

Croazia

La Croazia ha cancellato il debito dei suoi cittadini e, nonostante sia membro dell’Unione europea dal 1º luglio 2013, continua ancora ad usare la sua valuta nazionale, la kuna croata, rifiutando l’euro.

Finlandia

La Finlandia non avrebbe mai dovuto aderire all’euro. Forte e chiara è la condanna che arriva da Timo Soini, leader di uno dei tre partiti membri della coalizione di governo, il partito anti-immigrazione The Finns.

Soini ha affermato che, se non fosse stata per l’adesione all’Eurozona, la Finlandia avrebbe potuto risolvere la forte crisi che sta vivendo, ricorrendo alla svalutazione della propria moneta. L’ex ministro finlandese degli Esteri è già passato dalle parole ai fatti, e al momento sta raccogliendo firme allo scopo di costringere il governo a indire un referendum sull’appartenenza all’Eurozona del paese.

Province a rischio fallimento. Governo Renzi ha raddoppiato le somme che gli enti devono pagare

Province a rischio fallimento
Giornale di Sicilia del 25 gennaio 2016. Per scaricare l’articolo dal sito dell’Ars, clicca sopra l’immagine

Ogni anno le Province siciliane versano nelle casse dello Stato un contributo per il cosiddetto risanamento della finanza pubblica nazionale. Nel 2015 tutto ciò è costato 65,8 milioni, quest’anno Roma chiede quasi il doppio: 131 milioni. Un colpo che il governo regionale definisce da Ko per enti che ancora oggi, a differenza che nel resto d’Italia, nell’Isola governano le scuole e si occupano di strade.

Si apre un altro fronte nella partita a scacchi fra Stato e Regione per l’equilibrio dei conti. Un fronte che può avere ricadute immediate visto che l’assessore regionale all’Istruzione, Bruno Marziano, avverte: «Per via del raddoppio di questa ”tassa” a carico delle Province non saremo più in grado di garantire i servizi scolastici per i disabili e la manutenzione degli immobili in cui hanno sede le scuole».