Contratto statali. Addio agli aumenti stipendiali uguali per tutti. Ecco da cosa potrebbe dipendere se un lavoratore statale prenderà l’aumento o meno

Statali.PNGAddio agli aumenti, cioè gli “scatti stipendiali” uguali per tutti: è la novità più importante della trattativa fra gli statali e il governo per il rinnovo del contratto, fermo da 7 anni.
Da una parte ci sono i sindacati, dall’altra l’Aran, agenzia che rappresenta la pubblica amministrazione come datore di lavoro.
Al fianco dell’Aran il ministro Marianna Madia (che guida il dicastero della Pubblica amministrazione, appunto).
Sul piatto ci sono 300 milioni di euro previsti dalla Legge di Stabilità 2016. Per i sindacati questa cifra si tratterebbe di una mancia pari ad otto euro di aumento per ognuno dei 3 milioni di dipendenti pubblici.
Ma qui arriva la novità che il governo Renzi vuole imporre nella trattativa: non più aumenti di stipendio uguali per tutti ma rapportati alla produttività e alle fasce di reddito. Lo slogan del governo è: abbandonare il metodo dei “polli di Trilussa“.
Ho l’impressione che stiano preparando l’ennesima beffa nei confronti dei dipendenti pubblici.
Siccome i soldi stanziati per i rinnovi contrattuali a livello nazionale sono pochi, ecco che il governo vorrebbe imporre nella trattativa non più aumenti di stipendio uguali per tutti (distinti, ovviamente, per categoria), ma rapportati alle fasce di reddito e alla produttività.
Tralasciando per il momento ulteriori valutazioni in attesa di potere leggere il testo definitivo della proposta, mi preme fare una considerazione su quelle che, al momento, sono solo indicazioni che potrebbero essere poi stravolte:
CI SARÀ UN ORGANISMO ESTERNO CHE VALUTERÀ LA PRODUTTIVITÀ DEL DIPENDENTE?
IN CASO CONTRARIO CHI LA VALUTERÀ?

Inchiesta de l’Espresso sulle “Assistenze Tecniche”: l’Italia che spende con difficoltà i fondi UE, è bravissima a utilizzarli per pagare consulenze

Più consulenze che fondi
L’Espresso del 1° ottobre 2015 – Per leggere tutto l’articolo clicca sopra l’immagine

L’Italia, si sa, non è brava a spendere i fondi strutturali europei. È però bravissima a utilizzarli per pagare consulenze, a volte con procedure che riducono al minimo 
la concorrenza e fanno felici quasi sempre le stesse aziende. Due, 
per la precisione: Ernst & Young 
e Pricewaterhouse Coopers.

I numeri aiutano a comprendere il fenomeno. Di tutti i fondi strutturali ricevuti dall’Unione europea 
per lo sviluppo del Mezzogiorno, 
ne abbiamo spesi più in consulenze che per settori cruciali come il turismo e la cultura.

Il dato emerge dai documenti della Ragioneria dello Stato sui fondi europei assegnati 
a Roma dal 2007 al 2013, l’unico periodo su cui finora sono state pubblicate cifre definitive. Dei 31,4 miliardi da spendere in questi sette anni con l’obiettivo ufficiale di sviluppare il Sud, il 3,3 per cento 
è andato a quella che viene definita “assistenza tecnica”.

Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Benvenuti a Bruxelles (fonte L’Espresso)

Bruxelles corrottaTutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando delle gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell’Europa. E due volte corrotta, nell’intreccio d’affari tra poteri locali e autorità continentali.
Dall’inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell’Europa.
Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo.
La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby.
Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti.